F di Franciacorta

09/04/2016 di Paolo Nozza

F Franciacorta Decanto

Parlare di Franciacorta con l'idea di dire qualcosa di utile e originale è un'impresa ardua e complicata. Utilizzerò l'immaginario cinematografico con l'intento di avere uno sguardo diverso e fornire spunti di riflessione lontani dai soliti cliché.

Prima inquadratura: F for Franciacorta

Il film Memento  (Christopher Nolan, Usa 2000) è un giallo in cui la storia è narrata a partire dalla fine. Cominciare dal  fondo, perchè non importa il chi e cosa, ciò che conta  è sapere come e perchè.

Franciacorta è sinonimo di bollicine. Vino spumante prodotto con il metodo della rifermentazione in bottiglia (detto Metodo Champenoise o Metodo Classico o Metodo Franciacorta). La denominazione di origine, nata sul finire degli anni '60,  con l'idea di riconvertire la viticoltura storica ad un progetto moderno di produzione qualitativa,  ha il merito di aver individuato la strada per identificare un prodotto con un'appartenenza territoriale, per fondare un' identità.

Visto con gli occhi di oggi, questo percorso ci racconta la storia di un brand molto forte, che si distingue  grazie ad una potenza comunicativa impressionante.

Franciacorta è la bollicina italiana per eccellenza,  che supera in appeal merceologico il più semplice Prosecco e in capacità organizzativa, numero di bottiglie, presenza storica sia il Trento doc che il povero Oltrepò.

Franciacorta, vino (prodotto) ipermoderno, con una dote di sovra-rappresentazione che ne determina il posizionamento sul mercato, colorando l'immaginario dei consumatori e dei cronisti.

Le sponsorizzazioni agli eventi legati al mondo della moda, la partnership con Alitalia, la recente partecipazione ad Expo, indicano che la quantità di risorse investite ha pochi paragoni nel panorama vitivinicolo italiano. Il brand vissuto come condanna ad esserci, croce dei detrattori e delizia dei sostenitori, filtro obbligato (?) attraverso cui approcciarsi a quello che rimane pur sempre un prodotto agricolo.

I numeri dicono che gli ettari in produzione sono circa 3.000,  le bottiglie tirate lo scorso anno circa 15 mln per un mercato essenzialmente nazionale, dato che la quota export si aggira attorno al 10% della produzione.

Non voglio essere riduttivo, sono consapevole che la rappresentazione mediatica non è la sola chiave per la lettura di un territorio, che rimane innanzitutto un insieme di persone, di gesti, di idee. Persone che hanno radici profonde legate ai gesti agricoli, caratterizzate da un'inquietudine imprenditoriale tipica della cultura padana post bellica, da cui derivano un pragmatismo dinamico sempre proiettato verso il futuro,  con idee in continuo movimento, e supportato da un innato ottimismo. Gli investimenti fatti sia a livello privato (nuove cantine, nuovi vigneti), che a livello consortile (promozione del brand,, miglioramento tecnico produttivo, monitoraggio dei suoli, ecc.),  dimostrano concretamente la vitalità di un tessuto imprenditoriale che nonostante la crisi non cessa di voler crescere.

La direzione scelta? 15 mln di bottiglie rappresentano una via di mezzo problematica, troppe bottiglie per il mercato nazionale in un momento di stagnazione dei consumi; troppo poche per poter essere una presenza significativa a livello mondiale, schiacciati dal gigante Champagne, che con il suo blasone secolare e con una mole di 300mln di bottiglie, riesce ad occupare segmenti di mercato inarrivabili. Quindi si è scelto di crescere, e crescere ancora. Sviluppare la visibilità sembra perciò un percorso obbligato, così come l'utilizzo di ogni lembo di terra disponibile, talvolta a scapito di elementari requisiti qualitativi. Ma cosa vuol dire qualità?

Seconda inquadratura : dalla vigna alla bottiglia

Nel film L'uomo in più  (Paolo Sorrentino, Ita 2001) ci sono due  uomini, un calciatore e un cantante da night accomunati dal medesimo destino. Per trovare una via d'uscita, ci si appoggia ai sogni, e a volte capita di doversi arrendere.

3.000 ettari di vigna sono una porzione considerevole di territorio, in cui questa coltura data tempi molto lontani. Al di là dell'agiografia,  è bene ricordare che le vocazioni a fare prodotto di qualità sono un mix di selezione temporale, dovuta all'esperienza umana, e a caratteristiche oggettive.

Suolo, microclima, uomo: in Franciacorta esistono molti luoghi che possono esprimere i frutti di questa correlazione virtuosa. Lo studio di zonazione promosso dal Consorzio doveva servire proprio a certificare la consistenza di questa certezza empirica. Sicuramente non tutti i 3000 ettari possiedono pari dignità, e proprio qui entra in gioco il fattore umano. Il vino è prima di tutto un prodotto culturale, ci vuole una visione, un progetto, e forse governare un sogno grande come la Franciacorta richiede qualcosa di più della mirabile etica del piccolo vigneron, che ha come orizzonte unico la vigna e i gesti che gli appartengono.

Non voglio sembrare cinico, cerco solo di comprendere perchè possa avere un senso  piantare vigneti dove prima esistevano altre colture, perchè si scelgano protocolli produttivi in cui la tecnica guida (e sovrasta) la relazione uomo-terra. Essere pragmatici a volte porta alla necessità di dover scegliere tra romanticismo e produttivismo, il mercato, i bilanci, gli investimenti lo richiedono.

Parlare perciò di vigna e di vocazione alla qualità richiede una presa di posizione consapevole. Se si sceglie di essere intransigenti si può dire che un prodotto che ha una storia relativamente recente come il Franciacorta, dovrebbe fondare le proprie caratteristiche sulla propria originalità. Il clima  pone problemi non indifferenti se si vuol fare un metodo classico di alto livello, occorre quindi essere selettivi nelle posizioni dei vigneti, nelle pratiche colturali e nell'adattare l'idea di prodotto ottenuto alle caratteristiche oggettive della terra. Sembra il segreto di pulcinella, eppure in queste tre proposizioni c'è tutto il succo del discorso. Ed è solo l'inizio.

La domanda fondamentale è: si comincia dal fondo, stabilendo quale tipo di vino si vuol produrre (magari a prescindere dal materiale che si ha a disposizione), oppure si parte dalla terra e si pensa a ciò che se ne può ricavare? Qui probabilmente è collocata la cesura che si sostanzia nella pura dimensione delle aziende presenti sul territorio. Le strade sono necessariamente differenti: da un lato i tre o quattro attori di grandi dimensioni che sono obbligati a coprire fasce di mercato ampie e a cercare di incontrare gusti maggiormente indifferenziati, dall'altro la gran parte di aziende medio piccole (anche molto piccole) che hanno a disposizione un parco vigneti molto più circoscritto. L'identità di brand contro  la vocazionalità delle singole vigne.

Capisco che possa sembrare un discorso grossolano, in realtà possono coesistere molte sfumature che intrecciano i due mondi, resta il fatto che per il piccolo produttore non ha senso inseguire le logiche che governano il grande. Se ne può mutuare la tecnica,  ma è necessario distinguere la propria voce partendo da ciò che si ha sotto i piedi, la terra. Perchè una vigna sul Monte Orfano è diversa da quella a Monticelli, o una di Favento avrà caratteristiche non comuni con un'altra di Provaglio. Sembra facile vero?

Attualmente il prodotto medio sfornato alla voce Franciacorta ha caratteristiche tecniche pressochè impeccabili (spesso al limite della neutralità), indipendentemente dal fatto che provenga da una grande o una piccola cantina, a dimostrazione di come il famoso metodo sia ampiamente implementato. Ciò significa che viene espressa compiutamente un'identità territoriale? Forse questo modo facilità la riconoscibilità del prodotto da parte del consumatore medio, e magari questo è un bene. Ma chi come me crede che l'espressione territoriale sia fatta da una pluralità di voci distinte, anche al limite dell'originalità, sente come una gabbia il prevalere del metodo a scapito del modo. Lavorare la vigna richiede un modo, vinificare e affinare un vino richiede un modo, concepire la propria bottiglia richiede un modo, e questo modo si apprende col tempo, esattamente come si apprende una tecnica, un metodo. Però il modo richiede anche una comprensione di tipo umanistico, culturale, totalmente diversa da quella della tecnica, e forse su questo aspetto devono investire le persone che vivono e lavorano in Franciacorta.

 Ultima inquadratura:  the show must go on !

 Il film  Ave, Cesare!  (Joel e Ethan Coen, Usa 2016) racconta le disavventure di un "risolvi problemi"che lavora dietro le quinte della più grande fabbrica di sogni, Hollywood. Non importa quali siano i meccanismi, gli artifici, le finalità, conta solo che la luce sullo schermo continui ad esistere.

Mi rendo conto che alla fine non ho parlato di cuvée, di filtrazioni, di lieviti, di diserbo, di zuccheri esogeni o di cimature, di affinamenti o di dosaggi. Diciamo che ho preso l'argomento  molto alla lontana con l'intento di tornare a parlarne più nello specifico.

Credo sia importante far partire qualsiasi tipo di critica al territorio e ai suoi attori, prendendo le mosse da un inquadramento generale. Senza conoscere il contesto è difficile avere un punto di vista equilibrato, e ogni giudizio rischia di essere troppo parziale. Con questo non voglio assolvere tutti a priori,  mi piace solo pensare che la realtà ha delle sfumature che è un peccato ignorare.

Nonostante gli osanna degli entusiasti e le dure reprimende dei detrattori, lo spettacolo continua,  e anch'io non mi stanco di guardare il film.

 

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